Uscendo dal borgo di Farfa, attraverso Porta Montopoli, si raggiunge dopo 2 km il bivio per Castelnuovo di Farfa e dopo 4 km di strada provinciale 42 si raggiunge l’odierno paese, fondato intorno al 1300 da tre famiglie orientali, che convertitesi al cristianesimo per opera di Raniero, monaco di Farfa, lo seguirono in Italia. Il centro presenta un impianto urbanistico medievale con stratte vie fiancheggiate da edifici post-medievali, tra i quali si conserva qualche casa torre.

Museo dell’Olio
Nel centro storico di Castelnuovo di Farfa, nel cuore della Via dell’Olio Sabino, si trova l’interessante Museo dell’Olio, pensato per celebrare uno degli olii più pregiati d’Italia. Allestito nel Palazzo Perelli (XVI secolo), il museo celebra l’olio in tutti i suoi significati materiali e simbolici, tradizionali e contemporanei. Le testimonianze dell’antica civiltà dell’olio si susseguono nelle sale: le giare del XVI secolo, il frantoio del ‘700, le presse olearie che vanno dal XVI al XX secolo, gli antichi forni. Il visitatore compie un percorso che, dall’interno del museo, conduce alla sommità del centro storico di Castelnuovo di Farfa e nella campagna fino alla Chiesetta campestre di S. Donato (IX sec.) al cui interno architettura e musica celebrano l’olio nella spiritualità mediterranea.
Prestigiosa la sezione di arte contemporanea, dove quattro artisti di fama internazionale, Maria Lai, Hidetoschi Nagasawa, Alik Cavaliere e Gianandrea Gazzola, hanno prestato la loro opera per celebrare e rileggere il mito dell’olio. Il sito archeologico altomedievale di San Donato, in prossimità del fiume Farfa, è parte del percorso museale.

Proseguendo si incontra Poggio Nativo fondato intorno al X secolo su uno scosceso sperone di roccia a 415 metri s.l.m., questo piccolo e grazioso borgo sabino conserva ancora oggi le tracce della sua antica origine medioevale nella tipica struttura a spina di pesce, caratterizzata da vie strette e tortuose, spesso a gradoni. Il nome originario “Podium Donadei” viene fatto derivare o dal nome del presunto fondatore del paese, un potente signorotto locale chiamato Donadeo o, secondo un’altra ipotesi maggiormente accreditata, dal fatto che, grazie alla sua posizione arroccata e difficilmente accessibile, il paese offrì un valido rifugio agli abitanti della zona durante le invasioni barbariche e venne per questo battezzato “donum Dei” , dono di Dio.
Da non perdere il complesso monastico di San Paolo, risalente al XIII secolo, fu ricostruito ed ingrandito dai frati Francescani cui il monastero fu ceduto da Pio II nel 1471.
La vecchia chiesa fu trasformata in Coro, arredato con magnifici scanni in legno intarsiato, ancora oggi ben conservati. L’attuale chiesa fu costruita ex novo. Al suo interno è possibile ammirare il monumentale altare maggiore, riccamente ornato di pregevoli marmi, affiancato dalle statue di S. Giacomo e di S. Filippo e sormontato da una tela seicentesca rappresentante “l’Apparizione del Santissimo Sacramento e due frati Francescani”.
Nell’unica navata sono presenti sei cappelle, concesse in patronato alle nobili famiglie del luogo, i cui stemmi gentilizi sono tutt’ora visibili negli archi. Nella terza cappella di sinistra sono presenti due affreschi risalenti al 1560, raffiguranti San Biagio e San Giovanni Battista e nella terza cappella di destra è conservata una tela ovale con la Madonna in trono con Bambino e tre Angeli.
Il convento, ricostruito nel ‘400, è stato ripetutamente rimaneggiato: l’ampio chiostro è decorato da lunette rappresentanti episodi della vita di San Francesco.
Il portale della vecchia chiesa, utilizzato per la nuova costruzione, conserva ai lati delle pitture murali rappresentanti la decollazione di San Paolo e la Crocifissione di San Pietro. Nei primi anni del ‘900 fu per caso trovato un trittico dipinto dal pittore Antoniazzo Romano attualmente esposto alla Galleria Nazionale di Roma (Palazzo Barberini).
Chiesa della S.S. Annunziata
Alcuni storici accolgono la tradizione secondo la quale questa chiesa sarebbe stata eretta in sostituzione di una antichissima cappella dedicata alla Beata Vergine Maria e che la consacrazione sarebbe avvenuta per le mani dello stesso pontefice San Silvestro I. Alla primitiva cappella appartengono il portale ed il fonte battesimale.

  • Nel 1576, sotto il pontificato di Gregorio XIII, la chiesa fu ampliata e riccamente ornata da Bernardino e Lucrezia Anguillara. La campana da 280 libbre, tutt’ora ben conservata nel campanile, fu donata dal principe Borghese.
  • All’interno della Chiesa, ampiamente restaurata dopo il terremoto del 1915, si può ammirare una pregevole tela di scuola umbro-romana della fine del XVI secolo rappresentante San Francesco di Paola.

Proseguendo sulla S.P.42, dopo circa 11 km, si arriva a Frasso Sabino, fino a poco tempo fa si pensava che il toponimo derivasse dai frassini che circondavano la zona, ma studi recenti hanno ipotizzato che, essendo in epoca romana un posto di guardia, la sua etimologia deriverebbe dal verbo latino fraxare, che significa appunto fare la guardia.

Tutto il centro storico di Frasso Sabino, recentemente ristrutturato, è molto ben curato e merita una visita anche per i suggestivi scorci di paesaggio che da lì si possono godere, dalla vallata del fiume Farfa ai suggestivi uliveti.
All’ingresso del paese troneggia il castello probabilmente fondato nella prima metà del X secolo per iniziativa signorile, anche se la prima notizia certa della sua esistenza risale al 1055, quando Alberto figlio di Gebbone lo donò all’abate di Farfa, Berardo I.
Il castello di Frasso dovette rimanere in possesso del monastero per non molto tempo, mentre sullo scorcio del Trecento ne erano in possesso i Brancaleoni.
Nel 1441,quando Frasso venne occupato da Battista Savelli, Paolo e Francesco Brancaleoni, signori di Monteleone, lo donarono, come dote, alla loro sorella Simodea, che aveva sposato Orso Cesarini.
La signoria dei Cesarini ebbe termine nel 1573, in modo abbastanza movimentato, quando Federico Sforza sposò Livia Cesarini, oblata del monastero romano dei Sette Dolori, suscitando un grosso scandalo. Solo nel 1827 il castello raggiunse la sua autonomia.
La dominante mole della rocca Sforza-Cesarini, davvero notevole rispetto alla dimensione dell’abitato, conserva ancora un alto bastione cilindrico con basamento a scarpa munito di beccatelli nella parte terminale; sebbene la rocca come l’intera struttura dell’abitato, siano state oggetto di continue modifiche che ne hanno cancellato la forma primitiva; tanto che la torre ha subito l’abbattimento della parte più alta.

Di notevole interesse la chiesa romanica di S. Pietro in Vincoli, la cui posizione elevata rispetto al paese, consente un’ampia vista sul paesaggio della valle. La chiesa, a tre navate con piccola abside, presenta la facciata a capanna composita con portale sormontato da una lunetta a sesto pieno e oculo quadrilobato; all’interno la navata di destra è stata trasformata in una serie di cappelle funerarie relative al contiguo cimitero, quella sinistra è divisa dalla navata centrale da quattro pilastri ed archi a sesto pieno. La chiesa, nella quale sono visibili tracce degli affreschi che la decoravano, è oggi utilizzata per attività culturali.

Nei pressi dell’abitato si trovano le sorgenti del Farfa, denominate Le Capore, captate nel 1980 per accrescere il rifornimento idrico di Roma, visitabili grazie ad un sentiero naturalistico.

A Frasso Sabino, all’interno di un antico mulino in pietra, è stato inaugurato nel 1995 l‘Osservatorio Astronomico “Virginio Cesarini”, intitolato a un insigne letterato sabino del XVI secolo, membro dell’illustre casata di cui portava il nome, amico di Federico Cesi e appassionato di astronomia a sua volta.
L’Osservatorio per la sua intensa attività scientifica (verifica e scoperta di asteroidi, comete, ecc…), ha ottenuto dal Minor Planet Center di Cambridge (Massachussets – USA) in data 22 Settembre 1998 il codice di certificazione astronomica internazionale 157 Frasso Sabino che comprova l’affidabilità delle osservazioni del suo staff operativo.
All’interno dell’edificio ha sede il Museo “La Citta’ delle Stelle” e il Planetario.
In funzione dal Giugno del 1998, il Planetario didattico possiede una sfera di proiezione del diametro di 40 cm per circa 700 stelle, il Sole, la Luna, i pianeti, le antiche costellazioni e l’effetto di precessione. La cupola riflettente, sospesa all’antico soffitto a capriate in legno, ha un diametro di circa 5 metri. Sono disponibili gli effetti del tramonto e dell’alba, il cerchio meridiano, l’equatore celeste e l’eclittica, la precessione, e la rappresentazione delle antiche costellazioni. Durante la sessione al planetario vengono fornite informazioni circa i futuri voli spaziali, le comete e le meteore, i buchi neri e l’inquinamento luminoso.

Si giunge così all’abitato di Osteria Nuova, oggetto di frenetica espansione edilizia doveva sorgere in prossimità dell’antico abitato Vicus Novus che ha restituito numerosi materiali provenienti da rinvenimenti fortuiti: colonne, capitelli, frammenti architettonici, mosaici.
La costruzione con annessa chiesuola, è posta nell’area dove un tempo era la stazione di cambio (mansio) ad Novas , ricordata dagli antichi itinerari come luogo di sosta lungo il tragitto che univa Roma, da cui distava circa 33 miglia, al municipio di Reate (Rieti).
L’edificio destinato ad osteria, che fu realizzato nel XVIII secolo inglobando un imponente monumento funerario di epoca romana, ha subito numerose trasformazioni. Il grande sepolcro conosciuto con il nome di Grotta dei Massacci è stato attribuito alla potente famiglia dei Bruttii Praesentes, ricchi proprietari terrieri della zona. L’antico monumento, realizzato in opera quadrata con grossi blocchi di travertino locale, è completamente occultato dall’edificio moderno e solo sul lato meridionale si scorge un tratto dell’antico muro conservatosi per un’altezza di circa 9m e una lunghezza di circa 7m. Si accede al sepolcro mediate un lungo Dromos con volta a sesto molto ribassato, in grossi blocchi di travertino; la camera funeraria, il cui pavimento in terra e ciottoli di fiume deve essere riferito al XIX secolo, è a pianta quadrata, presenta quattro nicchie rettangolari scandite da pilastri e con volta a crociera. Nel lato nord vi è un pozzo e sul fondo è visibile i resti di una porta.
I tre sepolcri funerari del tipo a torre soprannominati i Torracci, sono della tipologia comparsa nel Lazio sul finire del I secolo a.C. per affermarsi definitivamente nella prima età imperiale. Il primo dista dalla Grotta dei Massacci circa 99,50 m, si conserva per un’altezza di 14,60 m ed ha un basamento di 7,15 x 7,10 m; il secondo è posto a 14 m dal precedente e si conserva per appena 1 m di altezza; attualmente è poco visibile in quanto ricoperto da terra e manto erboso; il terzo torraccio si trova nel giardino di una casa moderna.